Il Consiglio di Stato ha discusso e approfondito il tema dei permessi di soggiorno per cittadini stranieri, genitori di minorenni di nazionalità svizzera. Il Governo ha inoltre colto l’occasione per rispondere ad alcuni atti parlamentari che trattavano la questione.
Il Consiglio di Stato ha anzitutto constatato l’assenza di una prassi comune fra gli Uffici della migrazione dei 26 Cantoni elvetici. La discussione si è quindi basata oltre che sulla legislazione e sulla giurisprudenza anche su un’analisi della prassi attuale, sui criteri adottati dall’Ufficio della migrazione e su una valutazione del principio di proporzionalità nelle decisioni di revoca o di mancato rinnovo di permessi di soggiorno.
Il Governo ha condiviso l’idea di tutelare di principio i rapporti familiari tra i minorenni di nazionalità svizzera e i loro genitori stranieri. A questo proposito è stato in particolare stabilito che un cittadino straniero con uno o più figli di nazionalità svizzera, entro certi limiti, non sarà allontanato dal suolo nazionale per mere ragioni economiche, ovvero per la sola dipendenza dall’aiuto sociale, alla condizione che assolva i suoi doveri di genitore prendendosi cura del figlio, tenendo viva la relazione affettiva e provvedendo al suo sostentamento economico. Ciò è possibile poiché la legge federale concede ai Cantoni un margine di apprezzamento sulla revoca o il non rinnovo del permesso di soggiorno.
Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ribadito che nei casi di revoche motivate da pene detentive di lunga durata, problemi di ordine pubblico e invocazione abusiva del diritto al ricongiungimento famigliare, l’Ufficio della migrazione manterrà una prassi rigorosa, anche in presenza di rapporti genitoriali con uno o più minorenni di nazionalità svizzera.
Va infine sottolineato che – secondo la nuova prassi condivisa quest’oggi dal Governo – l’Ufficio della migrazione avrebbe preso una decisione differente solo nello 0.9% dei casi trattati; infatti, sul totale delle 456 decisioni negative per motivi economici emesse dal 1. gennaio 2010 al 30 giugno 2016, sarebbero state emesse decisioni differenti solo in 4 casi cresciuti in giudicato. La decisione odierna non mette in discussione la legalità e la legittimità delle decisioni sin qui prese.