Da Giornale del popolo / Nicola Mazzi
Il presidente del Consiglio di Stato sottolinea anche che a dipendenza
dell’evolversi della situazione i controlli potranno intensificarsi
oltre che alle frontiere anche all’interno del territorio.
I fatti di Parigi stanno avendo conseguenze anche alle nostre latitudini. Oltre a un maggiore controllo alle frontiere (vedi articolo a lato) vi è stato un incontro tra Guardie di confine e Polizia cantonale per un migliore coordinamento delle operazioni legate alla sicurezza. Proprio da questo fatto siamo partiti per un approfondimento della situazione con il presidente del Governo Norman Gobbi.
Presidente Gobbi cosa ci può dire dell’incontro tra Polizia cantonale e Guardie di confine?
«Se arriva l’ordine da Berna di intensificare i controlli, evidentemente, oltre ad avere un effetto sulle Guardie di confine, implica delle conseguenze anche sul dispositivo della Polizia cantonale. Sul dettaglio non posso ovviamente esprimermi, anche perché i terroristi sono molto attenti alle informazioni fornite dalle autorità; hanno difatti un buon monitoraggio dei media e quindi occorre mantenere un certo riserbo sulle strategie che adottiamo. Il tutto per una maggiore sicurezza delle operazioni. L’incontro di questa mattina conferma comunque l’ottima collaborazione tra le forze dell’ordine presenti sul nostro territorio, collaborazione che in situazioni come questa, viene conseguentemente intensificata».
Il piccolo Ticino può pensare a misure concrete per combattere il terrorismo?
«Ci sono due dimensioni sulle quali lavorare. Per la prima faccio riferimento a un’operazione di polizia avvenuta la scorsa settimana a Merano che ha portato all’arresto di 13 persone implicate nel reclutamento di terroristi. Il fatto che la base di reclutamento si trovasse in un appartamento a Merano, deve farci riflettere. Perché è una citta dina simile alle nostre, con un controllo sociale ancora presente. Ciò dimostra che un sistema di sicurezza deve essere attivato in modo più sensibile. La seconda dimensione sulla quale lavorare riguarda la politica dell’integrazione. Occorre fare in modo che i cittadini stranieri che giungono nel nostro Paese – che siano di prima, seconda, terza o quarta generazione – facciano loro i nostri valori di libertà e democrazia, alfine di scongiurare il rischio di una loro emarginazione dal nostro tessuto socio-culturale. Un aspetto che potrebbe infine implicare pure il reclutamento da parte di organizzazioni terroristiche, come è accaduto di recente a cittadini svizzeri o francesi cresciuti nei nostri paesi che si sono arruolati nell’ISIS. Un rischio che dobbiamo evitare».
E i cittadini che cosa possono fare?
«I cittadini sono le nostre sentinelle sul territorio: se si sentono insicuri o osservano situazioni dubbie, devono riferirsi all’autorità. E quindi chiamare il 117, numero di riferimento nell’ambito delle urgenze. Si tratta comunque di non perdere d’occhio la normalità. È vero, gli attacchi di Parigi hanno dato un segnale molto chiaro sull’obiettivo che i terroristi volevano colpire: è stata un’aggressione al nostro modo di vivere. Ma ciò non deve impedirci di vivere la nostra libertà».
Da più lettori ci arrivano domande sul fatto che alla dogana si aspettavano code di auto che invece non ci sono state. Una sua precisazione in merito potrebbe essere utile.
«Come indicato in precedenza, la situazione viene monitorata costantemente dalle autorità federali e cantonali competenti. Al momento nel nostro Cantone sono state attuate delle misure preventive di presenza sul territorio, che non implicano ancora disagi visibili alle nostre frontiere in particolare. A dipendenza dell’evolversi della situazione, i controlli potranno essere intensificati sulla frontiera da parte delle Guardie
di confine e sul territorio cantonale dalla nostra Polizia, ciò che potrebbe anche comportare tempi di attesa così come accaduto negli ultimi giorni sul confine con la Francia e i Cantoni romandi».
Secondo lei si deve continuare come fatto finora o dare più spazio alla repressione rispetto all’integrazione?
«Il lavoro del mio Dipartimento, in questi anni, ha sempre posto grande attenzione all’integrazione: dall’arrivo di uno straniero sul nostro territorio alla sua dimora in Ticino. Abbiamo sempre cercato di lavorare sulla condivisione dei nostri principi, lo abbiamo fatto con una pubblicazione di benvenuto con la quale spieghiamo a queste persone quali sono i nostri valori e il nostro modo di vivere, alfine che esse, nel loro processo d’integrazione, li facciano propri. È un aspetto centrale, perché dobbiamo evitare che nascano dei ghetti, piccoli o grandi che siano; forse qualcuno già c’è, ma dobbiamo evitare che si diffondano e che diventino incontrollati come invece può capitare nelle grandi città europee. Un compito che dovrebbe essere facilitato dall’essere una piccola realtà. Ma ci vuole l’impegno di tutti, a cominciare dalle comunità straniere presenti in Ticino che già oggi sono attive in questo senso. Per quanto riguarda il Cantone, ci troviamo in una fase di transizione con la partenza del delegato all’integrazione Francesco Mismirigo. Ma le preoccupazioni appena descritte, assieme al programma d’integrazione della Confederazione e del Cantone, dovranno essere centrali anche in avvenire».
La collaborazione con le altre Polizie degli altri Cantoni sarà intensi ficata?
«Per prima cosa va ricordato che la sicurezza interna nel nostro Paese è di competenza della Polizia e quindi dei vari corpi cantonali. Il livello operativo nazionale viene coordinato dalla Conferenza dei comandanti delle Polizie cantonali svizzere che ha attivato, anche a seguito degli attacchi di inizio anno in Francia, un apposito stato maggiore di condotta di polizia. Questa coordinazione avviene in stretta collaborazione con la Polizia federale, così come anche con il Dipartimento federale della difesa. Una collaborazione tra autorità cantonali e federali che ha quale obiettivo il coordinamento in caso di eventi maggiori, così come la raccolta e la gestione di tutte quelle informazioni potenzialmente sensibili che devono essere condivise tra tutti i partner».
I contatti con il Consiglio federale o i Dipartimenti federali che si occupano di affari esteri o di sicurezza sono potenziati?
«Personalmente ho contatti regolari. Per esempio giovedì e venerdì ero a Davos per l’incontro con i direttori cantonali dei Dipartimenti di giustizia e polizia e con i consiglieri federali Ueli Maurer e Simonetta Sommaruga. Credo che ogni Cantone debba sentirsi coinvolto in questa situazione. Certo, alcune regioni possono essere potenzialmente più esposte come Ginevra e Vaud con le multinazionali, Basilea con l’industria farmaceutica, Zurigo con la piazza finanziaria, Lucerna con i suoi simboli cattolici o Argovia con le centrali nucleari. Ogni Cantone ha degli obiettivi sensibili e potenzialmente nel mirino di qualche organizzazione terroristica. E ciò deve farci riflettere: nessuno può guardare solo al suo orticello, ma occorre agire tutti insieme per rafforzare la nostra sicurezza. La collaborazione intercantonale è dunque importante, così come quella tra la Svizzera e gli altri Paesi. A questo proposito domani sarò in visita ufficiale a Milano e quello della collaborazione sarà sicuramente un tema di discussione con le autorità italiane».