Chi non ricorda Raffaele Sollecito, che ha ottenuto un permesso B nel nostro Cantone, omettendo nell’autocertificazione dei precedenti penali di indicare la sua situazione aperta con la giustizia italiana? Oppure il caso dell’ex operaio frontaliere delle officine FFS di Bellinzona, sospettato di essere a capo di una cellula locale della Ndrangheta? O ancora, il giovane italo-dominicano che ha aggredito brutalmente un sessantenne di Gordola, un giovane criminale che era già stato condannato nel nostro Paese a un anno di reclusione, oltre che implicato in una lunga serie di reati gravi, ma malgrado ciò, sempre residente sul nostro territorio? Tutti questi sono esempi che ci dicono che il sistema di controllo dei permessi per stranieri non funzionava e che occorreva quindi intervenire con i necessari correttivi.
Dall’inizio del mio mandato quale Direttore del Dipartimento delle istituzioni, responsabile dell’autorità cantonale che si occupa della concessione dei permessi, ho sin da subito cercato dei correttivi a questo genere di situazioni che tanto fanno indignare i cittadini, creando incredulità e confusione.
Nel settembre 2013, per evitare il ripresentarsi di situazioni come quella di Raffaele Sollecito, Christian Vitta per il Gruppo PLR, aveva presentato una mozione volta al miglioramento della procedura per la concessione di permessi di dimora, postulando una serie di verifiche e provvedimenti. Poiché nel frattempo erano già in atto dei correttivi da parte del mio Dipartimento, alla medesima è stata data risposta il dicembre scorso, invitando il Parlamento a respingerla. Inoltre, alcune misure proposte, come quella della deroga al diritto dei cittadini europei di ottenere un permesso di dimora per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità, erano state ritenute improponibili, siccome non conformi all’Accordo sulla libera circolazione. Ottenere l’estratto del casellario giudiziale per motivi legati all’ordine e alla sicurezza pubblici deve difatti essere giustificato da fatti concreti.
Una risposta questa, corretta giuridicamente, ma difficilmente condivisibile quando accadono degli episodi criminali come quello di Novazzano. E questa risposta mi riporta all’inizio del mio mandato nel 2011, quando chiesi di sostituire l’inutile autocertificazione con la presentazione dell’estratto del casellario giudiziale del Paese di provenienza del richiedente, così da poter valutare gli eventuali precedenti. La risposta da parte dei giuristi del Dipartimento fu chiara, non si poteva fare poiché occorreva attenersi a quanto disposto dall’Accordo sulla libera circolazione, che non permette la richiesta sistematica dell’estratto del casellario giudiziale. Questo “no”, ripetutomi tante volte come un mantra in questi quattro anni, non mi ha comunque dissuaso dall’intervenire per correggere la situazione.
E allora ho messo in atto una vera e propria strategia di controllo volta a contrastare efficacemente le situazioni di abuso: abbiamo incrementato i controlli ridefinendo le priorità operative dell’Ufficio della migrazione, abbiamo favorito lo scambio di informazioni tra le varie autorità cantonali (in particolare: Polizia, Istituto delle assicurazioni sociali, Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento, Ufficio delle prestazioni complementari, Cassa cantonale di compensazione per gli assegni AFI/API, Sezione del lavoro per il tramite degli Uffici di collocamento, ecc.), abbiamo altresì sensibilizzato i Comuni a segnalare casi dubbi, fornendo loro anche una linea telefonica preferenziale per farlo. Ho poi voluto che la richiesta di rinnovo o concessione dei permessi comprendesse della documentazione aggiuntiva, quale il contratto di lavoro, l’indicazione dello stipendio preciso, il contratto di affitto e la dichiarazione del proprietario dell’alloggio d’essere d’accordo che altre persone straniere, oltre al locatore, vivano nell’appartamento, tutta documentazione che Berna e Bruxelles ci hanno cortesemente invitato in più occasioni a non richiedere. Ho inoltre riorganizzato l’Ufficio della migrazione creando un servizio specifico che monitora i casi dubbi segnalati da varie autorità cantonali, ma anche dai tanti cittadini sensibili agli abusi. E questo nuovo servizio sta svolgendo con profitto il proprio importante compito: dall’inizio della propria attività il 1. ottobre 2014 a fine febbraio, in soli cinque mesi, il Settore giuridico ha esaminato 415 pratiche, che in 37 casi hanno portato alla revoca del permesso di soggiorno, mentre in 18 casi si è proceduto a non rinnovare oppure a non rilasciare un permesso. Le decisioni di ammonimento emesse, il primo passo verso una revoca o non rinnovo, sono inoltre state oltre 500.
Tutte misure queste, che stanno dando i loro frutti. Ma non basta. Non basta perché ancora la scorsa settimana è avvenuto quanto non deve accadere. Tra i presunti autori della rapina di Novazzano, vi erano degli stranieri beneficiari di un permesso B, oltretutto, uno dei quali con un permesso revocato e peraltro, condannato per un reato simile in passato. E allora, questo ennesimo caso mi ha portato ad andare oltre ai tanti “no, non si può fare” e a prendere una decisione coraggiosa, andando così oltre ai limiti restrittivi imposti dall’Accordo sulla libera circolazione, come ha saputo fare il Popolo svizzero, e il 68% dei Ticinesi, accettando l’iniziatica del 9 febbraio 2014. Da inizio aprile, i cittadini stranieri che chiedono il rilascio oppure il rinnovo di un permesso di dimora (B) o di un permesso per frontalieri (G) devono dunque allegare alla domanda anche il certificato del casellario giudiziale del loro Paese di provenienza. Un provvedimento straordinario, che ho ordinato per tutelare la sicurezza e l’ordine pubblico del nostro Cantone e dei Ticinesi, ben cosciente che questa limitazione dei diritti conferiti dall’Accordo sulla libera circolazione, giuridicamente, sia discutibile. Un provvedimento di polizia forse azzardato, motivato tuttavia dalla minaccia che costituiscono personaggi come quelli della rapina di Novazzano per la nostra sicurezza.
Alcuni casi accertati nelle ultime settimane, e, da ultimo, la rapina di Novazzano, hanno dimostrato come per tutelare i cittadini ticinesi e il nostro territorio, occorreva intervenire con ulteriori provvedimenti eccezionali e quindi con decisioni ferme. Il dicembre scorso, quando abbiamo presentato la risposta alla mozione Vitta, la situazione non era ancora giunta al punto da giustificare una misura del genere.
Leggo la fermezza con cui Christian Vitta è intervenuto nel dibattito in modo positivo. Non posso quindi che compiacermi, se Christian Vitta, il Gruppo PLR, così pure tutti gli altri esponenti politici, sapranno sostenermi anche di fronte a Berna, in questa mia decisione coraggiosa, benché scomoda, a tutela della sicurezza dei Ticinesi. Mi aspetto inoltre che in futuro, sia in Governo sia in Parlamento, i rappresentanti del PLR sosterranno le misure che dovranno essere introdotte a tutela della sicurezza del Ticino e Ticinesi senza troppe remore, anche se queste andranno a infastidire o a contrariare i sostenitori degli accordi bilaterali a ogni costo.