In Ticino, quasi un residente su cinque è italiano. In queste serate e nottate calcistiche, la mente è leggera, intrattenuta dal pallone che sui campi brasiliani accende le passioni di quasi tutto il globo. Per gli abitanti del nostro triangolo di terra ticinese questo periodo è un periodo sportivamente ed emotivamente travagliato: gli animi vivono sentimenti contrastati. Da un lato, poco meno di tre residenti su dieci sono stranieri e quindi il loro cuore calcistico batte per squadre diverse. Tra i cittadini stranieri, oltre la metà di loro è italiana, tanto che in Ticino quasi un residente su cinque è italiano; se vi aggiungiamo poi i cittadini con doppia nazionalità (svizzera e italiana), il rapporto aumenta ancora.
È quindi spiegabile come mai da noi una sia così presente la passione per gli Azzurri, che tanto fa bollire il sangue di molti Elvetici. Questa eterna contesa di confine, sfocia poi nel gufare contro i vicini, in qualsiasi occasione calcistica e non solo. Come dimenticare le sfide sciistiche degli Anni Novanta tra Pirmin Zurbriggen e Alberto Tomba, dove il gufare veniva ampiamente praticato contro “la bomba”. Un gufare non sempre compreso dai nostri Confederati svizzero-tedeschi, che provano sempre un po’ di simpatia pro-italiana, in quanto ricorda loro le vacanze mediterranee. Il nostro gufare è poi stato recentemente deplorato da un domenicale (non questo, ovviamente!) alla cui redazione concorrono in buona parte italiani; facile dunque capire il perché di questa mancata comprensione verso il nostro gufare anti-italiano nello sport.
Ma qui siamo al fronte. E la sfida calcistica è solo l’espressione di un più ampio confronto.
A fine degli Anni Cinquanta in Ticino si parlava del rischio di “germanizzazione” del nostro territorio. Oggi, diversi decenni anni dopo il rischio è un altro: l’italicizzazione del Ticino. Certamente, dal punto di vista linguistico condividiamo molto con i vicini, ma dal punto di visto della cultura di Paese le differenze sono importanti. Non parlo ovviamente degli elementi culturali legati alle arti, bensì di quelli comportamentali ed istituzionali.
Un esempio. Nei recenti rapporti annuali, i Reparti del traffico della Polizia cantonale hanno più volte segnalato il degrado dell’educazione e del comportamento al volante sul nostro territorio. Da un lato, vi sono certamente i frontalieri che portano il loro stile di guida, dall’altra l’arrivo dall’Italia di molti nuovi residenti contribuisce a questo “degrado” comportamentale; tanto che, alcune persone mi hanno chiesto che, nell’ambito del trasferimento di residenze di questi espatriati, si proceda ad un esame di guida per verificare la loro condotta nel nostro sistema di circolazione stradale. Esagerato? Forse, ma è un segnale ulteriore di disagio nella terra di confine.
Il disagio va affrontato e non negato, poiché dobbiamo comunque salvaguardare la nostra differenza e la volontà espressa storicamente di essere “liberi e svizzeri”. Sono questi elementi contraddistintivi che ci rendono unici e differenti, rispetto ai territori limitrofi e che hanno fatto la nostra fortuna. Elementi che ci devono e dovranno contraddistinguere anche in futuro, perché di solo calcio non si vive (almeno da noi).
Norman Gobbi