Rapporti Svizzera-Italia. Tre settimane fa mi ero espresso da queste colonne concludendo che, se in materia di frontalieri non si arrivasse ad una soluzione soddisfacente, allora meglio nessun accordo e quindi ogni Stato prelevi le proprie imposte sul reddito dei lavoratori frontalieri. Questa soluzione comincia a diventare l’unica percorribile, in quanto è la sola che salvaguardi gli interessi del Cantone Ticino. Una soluzione che permetterebbe anche di porre un freno al dumping salariale e alla sostituzione di lavoratori indigeni con lavoratori frontalieri.
Infatti, oggi il lavoratore frontaliero è avvantaggiato rispetto ad un suo connazionale non frontaliero, in quanto a fronte di un reddito nettamente superiore rispetto a quanto offra il mercato italiano, l’imposizione fiscale applicata dalla Svizzera con le imposte alla fonte è decisamente vantaggiosa. In breve, salario più alto e minori imposte. Senza un accordo, entrambe gli Stati sarebbero avvantaggiati. Il Ticino e la Svizzera non dovrebbero più riversare la quota parte delle imposte sui frontalieri (pari al 38.8% e quantificabili in 56 Milioni di franchi all’anno), con un buon contributo alle casse cantonali e comunali. L’Italia preleverebbe la differenza tra le imposte prelevate in Svizzera e quanto dovrebbero pagare se i frontalieri fossero unicamente tassati nel loro Paese (stimato in diverse centinaia di Milioni di €uro). Una soluzione interessante dunque sul fronte dell’erario statale.
Una soluzione interessante anche per la difesa del mercato del lavoro indigeno. Infatti, il nuovo sistema d’imposizione dei lavoratori frontalieri avrebbe come effetto quello di far aumentare le aspettative di salario (con l’imposizione italiana oltre alle imposte alla fonte elvetiche, il reddito disponibile sarebbe ben inferiore), con un riflesso evidente sul dumping salariale in atto in taluni settori economici non regolamentati da contratti collettivi o normali. In questo modo la sostituzione di manodopera indigena con manodopera frontaliera sarebbe disincentivata, poiché i costi salariali si avvicinerebbero.
Certo, questa soluzione non aggraderà talune cerchie padronali, ma dobbiamo comprendere che in questo periodo di difficoltà sociale ed economica, la difesa del nostro territorio e lo sviluppo di giovani forze lavoro competenti è indispensabile allo sviluppo economico, così come l’integrazione di quei lavoratori over 50 che non trovano più occupazione in Ticino.
Oltretutto, visti i progetti del governo Monti, che intende allontanare I nostri attuali partner di discussione istituzionale da Como, Varese e Verbania, portandoli a Milano e Novara o Vercelli, si palesa come l’interesse dello Stato italiano alla collaborazione transfrontaliera con la Confederazione svizzera e il Cantone Ticino stia venendo meno. Quindi, meglio nessun accordo e ognuno contento a casa sua.
NORMAN GOBBI CONSIGLIERE DI STATO