Il ticinese si gode il titolo e il suo ruolo nello spogliatoio
Gara sette è come il Fight Club, c’è una sola regola: non ci sono regole. O frose ce ne sono troppe, da rispettare alla lettera se si vuole conquistare la coppa, se si vuole coronare con il successo una stagione di duro lavoro.
Gara sette ci ha regalato un’emozione nuova, la rete a 2″ dalla fine. Gara sette ci ha portato per 15″ oltre Oceano, dove vige il motto: «It ain’t over until it’s over», ovvero: «non è finita finché è finita». Una frase che nella sua banalità racchiude tutto lo spirito dello sport a stelle e strisce, una frase che da noi viene troppo spesso sostituita con quel “primo non prenderle” che tarpa le ali ai sogni. Ed allora godiamoci a lungo Ambühl che parte all’assalto della gabbia di Bührer al 59’45″, godiamoci il portiere del Berna che acchiappa il disco a due centimetri dalla linea, godiamoci Tambellini che si inventa l’assist di pattino e godiamoci McCarthy che spara a rete e ferma la stagione ad un amen dal supplementare.
E poi la festa. Sigari e birra, come da copione. Microfoni e telecamere a registrare urla e varie banalità del dopogara. E musica. “Maracaibo… mare forza nove… partire si ma dove… Zan zan”. Lo spogliatoio dei Lions diventa il VIP di Cortina, mancano solo Gerry Calà e Cristian De Sica, ma è come se fossero li. “Colpa” di John Gobbi che confessa di aver scelto la colonna sonora. «Da quando risuona in spogliatoio non ne abbiamo più persa una!». Fuori tutti cercano Lukas Flüeler, che man mano che passano i giorni assomiglia sempre di più, sia nello stile, che nella flemma, che nel fisico ad Ari Sulander. E se dopo la pecora Dolly… No beh, la clonazione non è ancora arrivata a tanto. Il “Vecchio Leone” lo guarda da poco lontano e si gode, nel suo solito silenzio l’ultima birra da giocatore, anzi, da campione. Poi qualche microfono lo raggiunge e lui a schernirsi ed a dare meriti agli altri, come ha sempre fatto. Flüeler non è da meno quando afferma: «stasera i miei difensori hanno bloccato più tiri di me». La squadra prima dei singoli, ne conviene Bob Hartley che ricorda come «ad inizio stagione i vecchi venivano a dirmi che i giovani non li rispettavano ed i giovani dicevano che i vecchi non li consideravano. Adesso siamo diventati un gruppo…». Hartley, quello che pochi mesi fa in molti volevano cacciare. Hartley che se se ne andrà sarà per tornare ad allenare in NHL. Quanto di suo e quanto di nuovo ci sia nel titolo dei Lions non è dato sapere. Comunque sia ha vinto la sua scommessa.
Appoggiato al tavolino che fino a qualche minuto prima è stato teatro della diretta di TeleClub, Danilo Gobbi, professione papà, riceve telefonate e pacche sulle spalle. «E ù mia gnanca giügaat… Bon mia che ul John…» e giù una risata, una di quelle che per anni hanno tenuto compagnia a chi frequentava per diletto o per lavoro la buvette della Valascia, una di quelle, spesso amare, che avevano accompagnato il dopo-finale del figlio quando vestiva la maglia del Servette. Fruga nelle tasche e tira fuori due monetine da un centesimo. «Ne vuoi una?». «Ma chi te le ha date». «Mah al mio posto era seduto uno spazzacamino, non sapevo chi era e non volevo disturbarlo. Sum setat dananz e l’m’ha dai scti do rob…». Il destino… Lo spazzacamino in questione è notissimo oltre San Gottardo ed ha fatto da portafortuna ai leoni che le sue monetine se le erano appiccicate ovunque. Sul casco, sotto lo scotch dei bastoni, sui parastinchi. Fino alla vittoria finale. Danilo Gobbi se le rigira tra le mani e sospira: «Beh, il John questa vittoria alla fine comunque se l’è meritata…». Nemmeno il tempo di finire che dallo spogliatoio risuona un «Vecchio! Vegn a fa na foto!». È il momento dell’abbraccio tra due generazioni di Gobbi con John che chiosa: «Non avrò giocato tanto in finale ma questa medaglia non me la toglie nessuno e fra vent’anni sarà un bel ricordo». Magari da mostrare ai figli dicendo, come aveva confessato Tallarini un anno fa: «La cosa bella è che potrò dire a mio figlio: ta vedat, ul tò pà l’è sctai campiun scvizar!». Per ora in casa Gobbi la festa è per il “Vecchio” poi… chissà!
Epilogo: Le otto di mattina. Zurigo. Tram 11. Mathias Seger e la coppa. Attorno zurighesi con la testa tra le righe del giornale. Il capitano lo riconoscono in pochi e quei pochi lo lasciano tranquillo. Ma ve lo immaginate Del Piero o, meglio, Ambrosini, in metrò la mattina dopo con la coppa? Come direbbe Asterix: «Sono Pazzi Questi Svizzeri». Ma forse è meglio così. Maracaibo… Mare forza nove… partire si ma dove… Zan Zan…