Rapporti Italia-Svizzera l Per taluni il blocco parziale dei ristorni delle imposte alla fonte prelevati sui frontalieri è una sorta di “sasso sulla strada verso la normalizzazione dei rapporti italo-svizzeri”, e quindi desidererebbero toglierla. Per noi, il blocco è una pietra che rafforza la posizione Elvetica in un mondo diplomatico ormai totalmente cambiato.
Questa settimana ho avuto due occasioni pubbliche per ritornare sulla questione dei ristorni delle imposte alla fonte prelevati sui frontalieri del 2010, che – come ampiamente noto – sono stati bloccati in forza del 50% dalla maggioranza del Consiglio di Stato su un conto vincolato presso la banca cantonale ticinese. La prima occasione è stata la serata organizzata dalla neo-costituita sezione ticinese di “Foraus”, un think-tank ossia un luogo di pensiero destinato alla politica estera del nostro Paese. La seconda volta a commento delle priorità del Consiglio federale in politica estera per il prossimo quadriennio.
Una decisione legittima
Alla serata pubblica di “Foraus” all’USI di Lugano, in cui è mancata la controparte italiana per importanti appuntamenti a Montecitorio (sic!), i relatori ticinesi hanno evidenziato come la normalizzazione dei rapporti italo-svizzeri sia una priorità per il nostro Cantone e per tutta la Svizzera. L’Italia è – dopo la Germania – il nostro partner commerciale principale, con una bilancia import-export a favore della vicina Repubblica. Da sporadici interventi dal pubblico si sono sollevate le ritrite critiche sulla legalità della decisione, con le scontate locuzioni latine “pacta sunt servanda”. Orbene, se i patti vanno rispettati – ho ribattuto – la verifica puntuale dell’utilizzo dei ristorni andrebbe maggiormente verificato, poiché destinato ai soli investimenti nei Comuni italiani di confine. Infatti, stando alle affermazioni fatte dai vari sindaci d’assalto dei territori insubrici, loro – i Comuni beneficiari – sarebbero “in grosse difficoltà a far quadrare i bilanci”; ammettono di fatto che l’utilizzo dei ristorni non è destinato agli investimenti, ma alla gestione corrente. È meglio ribadire che i ristorni non sono un sostituto d’imposta, bensì un’entrata aggiuntiva per questi Comuni, che quindi risultano essere enti più favoriti rispetto ai loro consimili. Sulla legalità della decisione del Governo ticinese, possiamo affermare che la stessa era legittimata da una richiesta del Parlamento cantonale e dalla volontà politica trasversale del nostro Cantone, quindi ampiamente giustificata e opportuna.
I cattivi perdenti…
Venerdì il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti ha confermato ai microfoni della RSI, quanto peraltro si era già capito anche a fronte di missive inviate dallo stesso governo tecnico alla Regio Insubrica: l’Italia non tratta bilateralmente con la Svizzera. Un’ammissione per cui l’Italia rinuncia ad avere una propria politica estera, allineandosi – e ci mancava! – a quanto impartito dall’Unione europea. Da questa base, mal si comprende la lettura fatta dai cronisti RSI a Berna delle dichiarazioni del Consigliere federale Burkhalter, il quale ha affermato che la decisione del Governo ticinese è un tassello di un più ampio mosaico che deve giocare su ambo i lati del tavolo delle trattive. La lettura unilaterale, “dei cattivi perdenti” che veicolano i messaggi da Berna attraverso i microfoni RSI, ha fatto però porre l’accento sul fatto di quanto sia d’impiccio il blocco dei ristorni per la normalizzazione dei rapporti italo-svizzeri. Sappiamo benissimo come, ancora nel mese di novembre 2011, perfino la presidente della Confederazione Calmy-Rey abbia espresso apprezzamento per la decisione del Governo ticinese.
Forza e coraggio
È venuto il tempo di avere coraggio di prendere decisioni forti, in un contesto internazionale definito “liquido”, in cui non esistono più blocchi distinti come prima del 1991. Un contesto in cui le regole diplomatiche d’un tempo non valgono più; si pensi solo all’assurda posizione francese sull’acquisto dei nuovi aerei caccia svizzeri, dove prima si attacca il nostro Paese come paradiso fiscale e poi pur di vendere ci vogliono rifilare i Dassault Rafale scontati. Un mondo nuovo cui non eravamo pronti e preparati, e in cui – ancora una volta – il Ticino ha fatto da laboratorio politico, economico e sociale, anticipando il resto del Paese.
La Svizzera deve difendersi a denti stretti, con una politica estera profilata in difesa dei propri interessi e una politica dell’immigrazione capace di salvaguardare il mercato del lavoro interno. Dobbiamo avere coraggio ed essere forti per difendere il nostro Ticino e la nostra Svizzera, e la decisione dello scorso 30 giugno 2011 è una pietra che rafforza la nostra roccaforte alpina.
Norman Gobbi