Opinione pubblicata nell’edizione di martedì 13 novembre 2018 del Corriere del Ticino
Il prossimo 25 novembre le cittadine e i cittadini svizzeri saranno chiamati a esprimersi sull’iniziativa per l’autodeterminazione, un tema molto dibattuto e di grande importanza per il futuro della Svizzera.
Grazie alla democrazia diretta, popolo e Cantoni nel nostro Paese hanno sempre potuto decidere le regole che vogliono attuare. Alcune sentenze del Tribunale federale (del 2012 e 2015) hanno però sancito che la Costituzione federale non è più il nostro riferimento giuridico supremo. Prima di allora, nessuno aveva mai messo in dubbio il rango superiore del nostro diritto interno quando la Costituzione e il diritto internazionale si contraddicono. Il nostro diritto interno è stato declassato a vantaggio di quello internazionale. Si tratta di una chiara e intollerabile limitazione della nostra democrazia diretta, che da sempre è all’origine della prosperità e della qualità di vita che ci contraddistingue.
Un valore che ci è invidiato e che va assolutamente conservato. Con il voto popolare dobbiamo decidere se vogliamo mantenere o cedere alcuni nostri diritti fondamentali: l’iniziativa mira infatti a garantire che il diritto di partecipazione dei cittadini (iniziative, referendum) rimanga un punto fermo del modello svizzero. In futuro devono essere ancora le cittadine e i cittadini a prendere le decisioni e non subire quelle di tribunali e organizzazioni internazionali. Il popolo sovrano deve avere la possibilità di dire l’ultima parola. È dunque necessario che venga mantenuta la superiorità del diritto svizzero e della Costituzione federale. Non dimentichiamoci, inoltre, che la nostra Costituzione è l’ultimo baluardo contro l’insidiosa adesione all’Unione europea.
Per illustrare meglio il mio punto di vista, faccio due esempi concreti che si sono verificati in presenza di conflitti tra i due diritti di riferimento. Richiamando dapprima il tema della libera circolazione delle persone, in passato sono stati presi degli accordi che come tali vanno rispettati. Se però le condizioni di partenza si modificano, dobbiamo avere la possibilità di ridiscuterli. Originariamente si parlava di 8.000 persone che avrebbero potuto raggiungere il nostro Paese per anno, ma il loro numero è poi cresciuto fino a 80.000, ben dieci volte di più! Più della metà dei lavoratori transfrontalieri d’Europa sono occupati in Svizzera, prevalentemente il Ticino e in Romandia. Se i tribunali europei dovessero decidere di concedere a queste persone le indennità di disoccupazione, noi non potremmo fare altro che accettare la decisione, indipendentemente dalla nostra volontà.
A volte, poi, è praticamente impossibile espellere qualcuno dal nostro Paese, anche se si tratta di persone che rappresentano una chiara minaccia alla sicurezza cantonale e che sono totalmente a carico dei servizi sociali finanziati da Comuni e Cantoni. Troppo spesso è sufficiente fare riferimento alla giurisprudenza internazionale per bloccare la pratica in atto e il rimpatrio. Così facendo, non si rispettano più né la legge cantonale né quella federale votate dal popolo.
Sono due semplici esempi che dimostrano come troppo spesso ci sia la tendenza a non rispettare la volontà popolare, applicando parzialmente o non applicando del tutto delle decisioni che appartengono al popolo.
Senza dimenticare che alcune iniziative non vengono nemmeno considerate.
Appoggiando l’iniziativa, in caso di contrasto tra la Costituzione e gli accordi internazionali, potremo adeguare gli accordi o rescinderli quando non sia più possibile trovare una soluzione. Auspico pertanto che i cittadini ticinesi approvino con convinzione questa iniziativa, per consentire la modifica della Costituzione federale e garantire così anche alle future generazioni un Paese libero e indipendente, nel quale a tutti sia data la facoltà di esprimersi. Il 25 novembre votiamo sì all’iniziativa per l’autodeterminazione per ridare preminenza al diritto svizzero, perché noi crediamo nelle decisioni del popolo sovrano!