Articolo pubblicato sul Giornale del Popolo nell’edizione di martedì 5 dicembre 2017.
Confederazione, Cantoni e Comuni intendono agire insieme contro la radicalizzazione e l’estremismo violento: i rappresentanti dei governi cantonali e degli esecutivi di Comuni e Città nonché la consigliera federale Simonetta Sommaruga hanno presentato ieri a Berna un piano di azione nazionale contenente 26 misure. Il Consiglio federale, la scorsa settimana, ha preso atto del piano e ha manifestato l’intenzione di promuoverne l’attuazione con un programma d’incentivazione quinquennale. Cinque milioni dovrebbero essere investiti per sostenere progetti sviluppati a livello cantonale e comunale o lanciati dalla società civile.
La prevenzione necessita una individuazione e un intervento precoci. «Non si deve aspettare che il terrorismo si presenti per prendere delle misure», ha sottolineato Sommaruga nel corso di una conferenza stampa. Deve essere intrapreso un lavoro di prossimità e quotidiano, ha detto la responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia aggiungendo tuttavia che la Svizzera non parte da zero. Iniziative sono già state lanciate a Ginevra. Il cantone sta per mettere in azione una rete di 250 ‘referenti’ nelle scuole che potranno informare l’insieme del personale sui primi segni di radicalizzazione, ha spiegato la ministra cantonale dell’istruzione pubblica Anne Emery-Torracinta. Inoltre sono state istituite formazioni per gli imam all’università. Infine Ginevra intende introdurre una formazione obbligatoria fino a 18 anni per evitare che i giovani si ritrovino marginalizzati e inoperosi: la marginalizzazione è spesso il nido della radicalizzazione. I Cantoni e i Comuni sono chiamati a giocare un ruolo chiave nel piano d’azione. La Rete integrata Svizzera per la sicurezza è incaricata di coordinare il trasferimento delle conoscenze e delle esperienze. Un pool di esperti nazionali dovrebbe poi aiutare Cantoni e Comuni a disimpegnare e reintegrare le persone radicalizzate. Inoltre i Cantoni dovrebbero parallelamente sviluppare una gestione interistituzionale della minaccia. Condotto dalla polizia, questo approccio mira a riconoscere precocemente il potenziale pericolo di singoli individui e gruppi.
Le persone attive in ambienti educativi, sociali e giovanili devono poi essere sensibilizzate e vedersi proporre formazioni e corsi di aggiornamento appropriati. Devono essere in grado di riconoscere precocemente i segnali e i pericoli di radicalizzazione e agire in modo adeguato. Se necessario, devono avere inoltre la possibilità di rivolgersi a un servizio specializzato. Anche le persone che operano in un contesto religioso e quelle incaricate dei richiedenti asilo devono essere sensibilizzate. Lo stesso vale per responsabili di associazioni culturali e del tempo libero. Spetta a ogni Cantone e Comune in base alle sue specificità definire i servizi di consulenza adeguati.
Gli scambi di informazioni devono inoltre essere facilitati. Una base legale deve ancora essere creata a livello nazionale. Ogni Cantone deve esaminare in collaborazione con il suo preposto alla protezione dei dati in quale misura lo scambio di informazioni possa essere garantito. Il piano d’azione è la seconda parte del programma del Consiglio federale contro il terrorismo.
La prima, messa in consultazione in giugno, precisa quali sono le azioni vietate e quale è la pena inflitta.
L’INTERVISTA – Norman Gobbi: ‘Un impegno di istituzioni e società civile’
Norman Gobbi, direttore del Dipartimento istituzioni, come valuta il piano d’azione contro la radicalizzazione e l’estremismo violento?
Il piano ingloba i tre livelli istituzionali (Comuni, Cantoni e Confederazione) e tutta la società civile: dal mondo della scuola fino alle carceri. A monte c’è un’esigenza di sensibilizzazione, che deve essere svolta nelle istituzioni ordinarie presenti sul nostro territorio. Dall’altra parte ci sono altre misure che permettono di condividere le buone esperienze svolte da città, comuni e cantoni. L’obiettivo è quello di evitare il fenomeno della radicalizzazione.
Secondo lei, quali misure sono particolarmente importanti?
Sicuramente quella legata alla verifica delle basi legali che permettono lo scambio di informazioni tra autorità: per evitare che i limiti posti dalle attuali leggi di protezione dei dati impediscano di condividere informazioni raccolte nel mondo scolastico a favore di un’analisi del caso. Quanto all’esecuzione delle pene: bisogna porre l’accento su una formazione specifica per chi opera all’interno delle carceri.
Altri Cantoni hanno già intrapreso misure specifiche. E in Ticino?
Il Cantone si è già mosso: abbiamo costituito il Servizio gestione cantonale persone minacciose e pericolose, che affronta coloro che hanno comportamenti minacciosi nei confronti delle autorità, ma mette anche in rete informazioni legate alla violenza domestica. Si tratta ora di capire come far funzionare meglio questo sistema, misurandoci con altre realtà cantonali che conoscono questo tipo di situazioni.
Come può contribuire il Ticino a questo progetto?
Il Ticino ha già avuto esperienze in questo ambito. Riconoscere in anticipo queste radicalizzazioni può portare a trovare le misure non solo preventive ma anche di repressione, che rientra nei compiti delle forze di polizia.
Siccome questo piano include anche la società civile, non sussiste il rischio di segnalazioni infondate?
Uno degli obiettivi è quello di creare punti di contatto per le autorità, ma anche per i singoli cittadini, dove si possono segnalare situazioni strane, che possono far sorgere dei dubbi. Sta poi all’autorità competente fare la valutazione del caso per evitare una caccia alle streghe. Inoltre è importante anche il lavoro di intelligence per potere intervenire in modo appropriato.