Norman Gobbi: ‘I mezzi coercitivi non bastano’
«La nostra comunità ha saputo superare l’omertà». Norman Gobbi , direttore del Dipartimento delle istituzioni, ha riconosciuto che il problema – se così si può definire – è complesso e delicato. Tanto che «in questi casi non bastano i mezzi coercitivi». Serve altro. La consulenza obbligatoria? L’allontanamento coatto dell’autore di violenza è già cosa di oggi. Poi si può ragionare se deve decidere solo il pretore o se invece tocca in prima battuta alla polizia. O, ancora, se è corretto concedere possibilità di ricorso, con la consapevolezza che non sempre è facile determinare situazioni definitive. E, ancora, è importante segnalare agli enti preposti ogni caso di denuncia, così da proporre una terapia a tutti i protagonisti in causa. «Il governo è d’accordo anche sul principio che vede l’obbligo di trattamento terapeutico per i casi gravi» dove l’autore, quasi sempre uomo, può addirittura mettere in pericolo la vita della vittima. Certo è che ogni caso va affrontato con determinazione (per evitare ulteriori danni) e al contempo con massima attenzione perché coinvolge i sentimenti più intimi, un ‘privato’ fino a ieri considerato esclusivo; di competenza strettamente individuale, tutt’al più familiare. Oggi non è più così e non deve più esserlo. A questo proposito, ha ricordato ancora Gobbi, si possono studiare strumenti diagnostici capaci di leggere e scongiurare nuovi episodi di violenza. Il governo sta valutando anche in merito a quanto si sta facendo, sul tema, a livello federale. Nel frattempo si sono aperti alcuni spazi di riabilitazione per gli autori dei reati, come già da anni sono a disposizione luoghi protetti per le vittime.
Col picchiatore in casa
Ottocento casi lo scorso anno in Ticino, due al giorno. Ed è solo la punta dell’iceberg. Il Gran Consiglio rilancia l’attenzione sul disagio familiare.
Una donna uccisa ogni 15 giorni. Capita in Svizzera e l’omicida è sempre il partner, marito o convivente poco importa. Quasi 800 casi di violenza domestica, lo scorso anno, in Ticino: due al giorno. Botte, ma non solo. Una vera battaglia, consumata fra le pareti di casa, dove perdono tutti, anche i figli (un centinaio i minori coinvolti annualmente, sempre a Sud delle Alpi). Storie pubbliche, che devono interessare tutta la collettività. Storie che devono rompere il muro della vergogna e del silenzio.
E così, per una volta almeno, il Gran Consiglio all’unanimità ha accolto il rapporto della Legislazione favorevole a gran parte delle proposte presentate nelle due mozioni di Pelin Kandemir Bordoli (Ps, più tutte le deputate elette) e Michela Delcò Petralli (Verdi), entrambe tese a meglio prevenire quella che è stata coralmente definita una ‘vera piaga sociale’. Se ne parla esplicitamente da pochi anni, perché è un tabù duro da abbattere. Come dice il proverbio? Fra moglie e marito non mettere il dito. E invece no. Già oggi la polizia può intervenire d’ufficio e separare l’autore di reato (quasi sempre l’uomo) dalle vittime (donna e figli). Un fenomeno trasversale, che va oltre le classi sociali, ha ricordato Delcò Petralli. E c’è «un grosso sommerso che non viene denunciato, ve lo dico da ex poliziotto» ha detto Giorgio Galusero , nel portare l’adesione del Plr.
È vero, le cifre – già di per sé allarmanti – «sono la punta dell’iceberg, perché c’è una realtà nascosta fatta di vergogna e paura» ha rilanciato Amanda Rückert . Che ha aggiunto: «La violenza domestica non è un affare privato, se non altro per i costi sociali e finanziari a carico dell’intera collettività». Una realtà ben radicata, ha precisato Maurizio Agustoni (Ppd) e la prevenzione è fondamentale. Compresa la cura e la presa a carico dell’autore di violenza. Obbligare l’intervento terapeutico? In certi casi, i più gravi, si giustifica. Anzi, sarebbe bene prevedere «programmi adeguati di cura, oltre all’attuale servizio di sostegno» ha detto Milena Garobbio (Ps). E allora, misure puntuali a parte, «dal parlamento deve giungere un segnale forte e chiaro al Paese» ha esordito Gianrico Corti , relatore della Legislazione. Perché una società civile deve «saper coltivare il dialogo e il rispetto». L’attenzione deve dunque restare alta. Due casi di violenza domestica al giorno, in Canton Ticino, sono solo la punta di una montagna sommersa, dove convivono dolore, vergogna, incapacità al dialogo, solitudine e anche inadeguatezza dei ruoli, maschile in particolare. Il parlamento, ieri, ha detto basta!
di Aldo Bertagni, La Regione Ticino, 15.04.2014